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30 Mar, 22

Michele Laforgia interviene su La Gazzetta del Mezzogiorno sulla guerra in Ucraina

Michele Laforgia, socio fondatore di Polis, è intervenuto su La Gazzetta del Mezzogiorno di ieri, 29 marzo 2022, sul tema della guerra che dilaga nel cuore dell’Europa, in un editoriale dal titolo “Indifferenti su Crimea e Donbass ora inviando armi all’Ucraina rinunciamo al ruolo di mediazione”.

Di seguito il commento per esteso

In una delle prime scene del film ‘Bersaglio di notte’, di Arthur Penn, il detective privato Harry Moseby, impersonato da Gene Hackman, sta guardando una partita in televisione, e alla moglie che gli chiede chi stia vincendo risponde: «Nobody. One side is just losing slower than the other». Nessuno, stanno solo perdendo uno più lentamente dell’altro. È una definizione che si adatta perfettamente al conflitto in Ucraina, ma tra gli sconfitti ci siamo anche noi, spettatori in prima fila.
La catastrofe della guerra, infatti, non ha soltanto già causato migliaia di vittime fra i civili. Ha travolto, in pochi giorni, la nostra illusione di vivere in un’oasi di pace, lontani dai conflitti armati. Com’è accaduto ai piloti di Formula Uno, interrotti durante le prove da un bombardamento a pochi chilometri di distanza dal circuito di Gedda, ci siamo improvvisamente resi conto che le guerre esistono e ci riguardano.
In quel conflitto, nel vicino Yemen, sono già morte, anche per fame e malattie, oltre 377.000 persone, di cui il 70% bambini. Non ce ne siamo neppure accorti, in oltre sette anni. Nessuno si è preoccupato di fermare i belligeranti, né di soccorrere i profughi, a parte la Croce Rossa e le vituperate ONG. Le stesse dei cosiddetti taxi del mare, come furono a suo tempo sprezzantemente definite le navi delle organizzazioni umanitarie che salvano i naufraghi provenienti dalla Libia.
Questa miopia non è altro dalla guerra in Ucraina. È, a ben guardare, ciò che ha reso possibile l’aggressione militare russa. L’Onu e l’Europa hanno assistito con indifferenza all’escalation del conflitto in Crimea e nel Donbass, mentre qualcuno soffiava dolosamente sul fuoco dei nazionalismi, per propri interessi. Scoppiata la guerra, per responsabilità di Putin, nessuno ha mosso un dito per la pace, sperando che uno perda più dell’altro.
Ai confini dell’Europa si sta così combattendo da oltre un mese un conflitto a spese di un intero popolo. Quanto durerà? Per Lucio Caracciolo – direttore di Limes e grande esperto di geopolitica – “dipende da quello che gli americani diranno a Zelensky: è chiaro a tutti che pilotano la guerra da remoto, scaricando di fatto i costi su di noi.” Proprio per questo non basta ripetere che l’aggressore è russo e le vittime ucraine, com’è ovvio: occorre trovare un modo per imporre il cessate il fuoco.
Dal giorno dell’invasione, invece, è tramontata la stessa idea di legalità internazionale che, dopo la seconda guerra mondiale, fu all’origine della costituzione dell’ONU per “salvare le future generazioni dal flagello della guerra”. L’unica via, per il presente e, quel che è peggio, per il futuro, sembra rappresentata dall’uso della forza, dall’ampliamento dell’alleanza militare e dal riarmo. Un ritorno al passato che rischia di riportarci indietro di un secolo, spazzando via qualsiasi prospettiva di progresso.
Non è in discussione il diritto del popolo ucraino di opporsi all’invasione, nè il nostro dovere di aiutarlo a resistere. Semmai, sono da discutere i mezzi, comprese le forniture belliche. Il riferimento all’ingerenza umanitaria, per chi sa qualcosa di diritto internazionale, è del tutto fuori luogo. Nessuno si sogna di proporre l’invio di una forza di interposizione militare e neppure di istituire una ‘no fly zone’ per impedire i bombardamenti aerei. Si tratta, più cinicamente, di sostenere uno degli eserciti sul campo, mandandolo a combattere, e morire, con le nostre armi.
Ma può essere questo il nostro e loro destino? Decidendo sin dal primo giorno di inviare armi all’Ucraina (già ampiamente rifornita da Stati Uniti e Gran Bretagna) abbiamo abdicato da qualsiasi ruolo di mediazione. Una scelta che ci colloca, con l’Europa, in posizione puramente ancillare nei confronti degli USA e della NATO, rinunciando a una iniziativa autonoma sullo scenario internazionale. Un ritorno alla guerra fredda, insomma, che ha avuto e avrà conseguenze nefaste per l’economia, l’ambiente, i diritti sociali.
Nel frattempo, rischiamo di militarizzare anche il dibattito pubblico e quel che resta della politica. Al malcelato imbarazzo dei sovranisti nostrani, già ammiratori di Putin, ha fatto eco una sorta di plebiscito sull’invio delle armi, precipitando nel girone infernale degli ignavi chiunque abbia avanzato obiezioni. In guerra non si può, dicono: come se fossimo tutti al fronte e non al caldo delle nostre case, a discettare sul destino di chi, sotto le bombe, spera in una tregua.
Negli ultimi tempi, poi, è molto citato il prussiano Von Clausewitz. Ma del suo celebre trattato bisognerebbe ricordare non solo la nota definizione della guerra come continuazione della politica con altri mezzi, ma anche la conseguenza che ne deriva. E cioè che quando, nella guerra, “il dispendio di forze diviene così grande che il valore dello scopo politico non lo compensi più, tale scopo deve essere abbandonato e deve conseguire la pace”. Quel momento è da tempo giunto: fermiamo le armi, una volta per tutte. E per sempre.Michele Laforgia

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/editoriali/1335469/indifferenti-su-crimea-e-donbass-ora-inviando-armi-allucraina-rinunciamo-al-ruolo-di-mediazione.html

 

 

 

 

 

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